chi siamo
due parole sulla compagnia ...
La Compagnia, nata nel 2004, ha accomunato elementi provenienti da varie esperienze di teatro amatoriale e ad oggi conta su un gruppo di attori e tecnici affiatato e preparato.
In questi anni sono stati allestiti 26 spettacoli, prevalentemente di genere comico-brillante e di derivazione o ispirazione partenopea. Eduardo De Filippo, naturalmente, ha rappresentato e rappresenta tuttora un punto di riferimento fondamentale. La vocazione del gruppo è però quella di affrontare sempre nuove esperienze, diversificando la gamma dei linguaggi teatrali con cui si esprime. Le nostre produzioni hanno ottenuto numerosi riconoscimenti e conquistato un pubblico affezionato come risposta alla costante ricerca di accuratezza e attenzione ai dettagli in ogni circostanza.
Con i più recenti allestimenti, la Compagnia ha realizzato un avvicendamento nella direzione artistica e nello staff tecnico che si è compiuto all’insegna del rinnovamento nella continuità, allo scopo di mantenere lo stile e la qualità che hanno reso riconoscibile Il Socco e la Maschera negli anni.
Dall’atto della nascita la Compagnia ha portato in scena 43 fra attrici e attori, con il supporto di 28 collaboratori tecnici. Due suoi elementi sono stati tra i destinatari del XV Premio alla Virtù Civica “Panettone d’Oro” 2014, Milano.
... e il perché di un nome
Nel suo Ricerche storico-critico-scientifiche (Milano, 1829), l’Abate Don Giacinto Amati racconta che nell’antichità, al primo apparire degli attori sulle scene, immediatamente si comprendeva se si dovesse rappresentare una tragedia o una commedia dal fatto che gli attori calzassero il socco o il coturno.
Il socco, che l’autore dice introdotto da Eschilo, era un tipo di scarpa alta che portavano gli attori delle antiche commedie, mentre il coturno, che si dice introdotto da Sofocle, era uno stivaletto con uno zoccolo assai alto di sughero, distintivo in modo esclusivo degli attori delle tragedie, affinché potessero apparire più alti e somiglianti agli eroi interpretati.
Racconta poi l’Amati che da parte di Eschilo, o secondo altri dal poeta Tespi, fu introdotto l’uso della maschera, utile a chi recitava per evitare di imbrattarsi il viso con colori, talvolta anche nocivi, difficili da rimuovere, con l’attore esposto allo scherno della plebe anche a rappresentazione finita. Sempre secondo l’Amati, le maschere più antiche erano, per gli uomini, una specie di elmo con barba e capelli che copriva tutta la testa, mentre per le donne recavano i tipici ornamenti femminili.
Infine, per l’ignoto autore del Dizionario delle favole per uso delle scuole d’Italia (Venezia, 1785), Talia, musa ispiratrice della Commedia e della Poesia lirica, da sempre nell’iconografia tradizionale veniva rappresentata come una giovane donna coronata d’edera, con una maschera nella mano e i socchi ai piedi.